Infowine29.9: marchi Usa, Borsa, supporto pim

USA: in tre anni nati più di 850 marchi di vino

La maggior parte sono brand domestici (400), ma ben 110 di questi appaiono su etichette di vino italiano

Tra 2012 e 2014 sono stati introdotti nel mercato del vino statunitense ben 854 marchi di vino, tra quelli che compaiono nelle etichette di vino fermo, di sparkling wine, di vino da dessert e fortificato, di vermut e di aperitivi.

Il dato di fonte Big, come i seguenti che vi andiamo a presentare, si trova nell’Overview of the U.S. Beverage Alcohol Market and Brand Entry Considerations di MHW  (Monsieur Henri Wines, Ltd,) in cui sono pubblicati i numeri relativi all’introduzione di nuove etichette tra il 2012 ed il 2014, suddivisi sia per tipologia di prodotto che per Paese di produzione.

In particolare, e guardando alle tipologie, nel 2014 sono nati in USA ben 218 nuovi marchi di vino fermo (715 in tre anni), 25 di sparkling wine (93 in tre anni), 6 marchi tra vermut e aperitivi (9 in tre anni), 5 marchi tra vino da dessert e fortificato (29 in tre anni), e un solo marchio di ReadyToDrink (8 in tre anni).

nuovi_marchi_per_categoria_USA_2012_2014

Particolarmente interessanti sono poi i dati relativi alla suddivisione dei nuovi marchi per Paese di origine del vino con questi etichettato.

Gli Stati Uniti sono il “paese d’origine” di 400 nuovi marchi di vino in tre anni, quelli introdotti nel solo 2014 sono stati 118 e valgono il 46,3% di tutte le novità. Al secondo posto per numero di nuovi marchi vi è l’Italia: sono 110 in tre anni e 34 nel solo 2014 (il 13,3% delle novità). Seguono, guardando ai tre anni 2012-2014: la Nuova Zelanda, con 70 nuove etichette; l’Argentina, con 49 nuovi marchi; la Francia, con 36 nuove etichette; il Cile, con 34 nuove etichette; la Spagna, con 31 nuove etichette; l’Australia con 23 nuove, il Sud Africa, con 21 nuove etichette. Le nuove etichette di altri Paesi sono state, invece, 46 in tre anni e 12 nel 2014 (il 4,5% delle novità).

nuovi_marchi_per_Paese_USA_2012_2014

Riassumendo i dati del 2014, al fine di dare un dato utile a valutare quanto l’introduzione di nuovi brand possa essere stata parte della strategia di promozione del vino in USA dell’anno passato, da parte dei paesi produttori (ovvero dei gruppi che distribuiscono etichette da questi provenienti), ecco la classifica 2014 del numero di nuove introduzioni per paese:

1 – Stati Uniti (118 nuovi brand nel 2014, il 46,3% delle novità);

2 –  Italia ((34 nuovi brand nel 2014, il 1335% delle novità);

3 – Argentina (20 nuovi brand nel 2014, il 7,8% delle novità);

4  – Cile (17 nuovi brand nel 2014, il 6,7% delle novità);

5 – Francia (14 nel 2014, il 5,5% delle novità);

6 – Spagna e Sud Africa (entrambi 12 nuovi brand nel 2014, il 4,7% delle novità);

7 – Nuova Zelanda (9 nuovi brand nel 2014, il 3,5% delle novità);

8 – Australia (7 nuovi brand nel 2014, il 3% delle novità);

 

FEB

Fonte: Uiv

 


Gambero Rosso farà il suo atteso ingresso sul mercato azionario

Il 19 ottobre il Gambero Rosso farà il suo atteso ingresso sul mercato azionario: bilanci, situazione societaria e dubbi degli investitori, raccolti dall’analisi del quotidiano online “Affari Italiani” sul Gruppo, guidato da Paolo Cuccia

L’arrivo sul mercato azionario del Gambero Rosso, leader in Italia nella promozione del wine & food, nel listino dedicato alle Pmi, l’Aim, è slittato al 19 ottobre, per un prezzo di collocamento che, come racconta al quotidiano online “Affari Italiani” (www.affaritaliani.it), “oscilla in una forchetta tra i 2 e i 2,4 euro, determinando un valore della società tra i 20 e i 24 milioni di euro”. L’iter della quotazione, si legge, “prevede un aumento di capitale fino a 9 milioni di euro, dei quali 5 milioni per il mercato retail e 4 per gli investitori istituzionali. A ciò si aggiunge una “greenshoe”, ovvero la possibilità per l’emittente di aumentare la dimensione dell’offerta fino ad un massimo del 10%. Alla fine dell’operazione, coordinata interamente da Banca Popolare di Vicenza, il flottante di Borsa sarà pari a circa il 25% del capitale”.
“La società, nata nel 1986 e ristrutturata nel 2000, è l’azienda leader nella promozione del wine & food del Belpaese, e ad oggi come si legge ancora su “Affari Italiani”, “l’azionista di riferimento con il 97,5% della società è la Professioni Imprese Mestieri, società a sua volta controllata al 79,9% da Paolo Cuccia. Nel 2009, dopo una modifica dell’assetto proprietario e per far fronte alle perdite degli esercizi precedenti, viene, infatti, nominato presidente del cda Paolo Cuccia che, insieme al consigliere e azionista Luigi Salerno, mettono mano alla ristrutturazione della società”.
I risultati arrivano qualche anno dopo, con il Gruppo che “ha chiuso il 2014 con 15 milioni di euro di fatturato, in linea con l’esercizio precedente. L’Ebitda è positivo per 3,44 milioni di euro, pari al 23% del fatturato, e nel 2014 - continua “Affari Italiani” - la società è tornata in utile per 880.000 euro rispetto alla perdita di 1,2 milioni di euro dell’anno prima, ed anche i primi numeri del 2015 lasciano ben sperare. La quotazione in Borsa dovrebbe dare un po’ di ossigeno alla società che potrà così onorare parte dei debiti già scaduti e rivedere le posizioni debitorie con le banche. Alcuni autorevoli investitori milanesi interpellati a riguardo - chiosa l’articolo apparso su “Affari Italiani” - nutrono alcuni dubbi su questa Ipo e si chiedono se questa quotazione serva per finanziare la crescita oppure per ripianare l’elevato debito”.
“Il business di “Gambero Rosso” si svolge in un’arena competitiva che vede la presenza di numerosi e agguerriti competitors - spiega “Affari Italiani” - in tutte e quattro le aree del business. Basti pensare a big player come Tripadvisor, Yelp e altre piattaforme online, players di standing internazionale che potrebbero decidere di ampliare, nonostante le marcate barriere all’entrata, il business seguendo il modello “Gambero Rosso”, andando quindi ad erodere quote importanti di mercato. Da non sottovalutare poi il rapporto commerciale in essere tra il Gruppo e “Sky Italia” in scadenza a fine 2017. In caso di ridimensionamento, risoluzione o mancato rinnovo del contratto ciò causerebbe riflessi negativi tanto che al 31 dicembre 2014, Sky Italia rappresenta per il Gruppo il primo cliente in termini di fatturato”.
Ma il problema più grande, come si legge, “è sicuramente l’elevata posizione debitoria. Al 31 dicembre 2014, il Gruppo segnava una “posizione finanziaria netta adjusted” negativa per 15,4 milioni di euro (più del fatturato), derivante, principalmente da una esposizione verso il sistema bancario, da un consistente indebitamento per debiti commerciali scaduti (pari a 4,1 milioni di euro, di cui 2,03 milioni rateizzati) e da debiti tributari e previdenziali scaduti (pari a 7,1 milioni di euro, di cui 1 milione rateizzato)”.
Il Gruppo, si legge nel Documento Informativo, “negli ultimi anni, a seguito della stretta creditizia dovuta anche a situazioni esogene, ha finanziato la propria attività ricorrendo anche al riscadenzamento delle proprie esposizioni con il sistema bancario attraverso piani di rientro, con un selezionato numero di fornitori e con gli enti previdenziali e impositori. L’elevato indebitamento, gli accordi di riscadenzamento e il mancato pagamento nei termini degli oneri fiscali e contributivi comportano un significativo costo per interessi passivi e per sanzioni. Questo livello di debito obbliga il management ad usare i flussi di cassa generati dal business per onorare le rate dei debiti, togliendo risorse importanti al finanziamento del capitale circolante e agli investimenti”.

 

fonte: Winenews


Soluzioni diversificate per sostenere l'internazionalizzazione delle Pmi

Il ruolo di Sace. In Italia attualmente mancano all'appello 123 milioni di euro di credito alle aziende per andare all'estero Garanzie contro il credit crunch Da settembre è operativo anche il Fondo Sviluppo Export gestito da Amundi

IL NUOVO STRUMENTO Tramite l'emissione di titoli obbligazionari, sottoscritti dal Fondo, l'azienda ottiene le risorse necessarie per crescere all'estero B ! I segnali di miglioramento ci sono. Ma reperire il capitale inziale per andare all'estero resta un'impresa rispetto al picco di settembre 2011, mancano all'appello 123 miliardi di euro di credito alle aziende italiane. E non c'è solo la fas e d el fi nanziam ento: c'è l'analisi dei mercati, la partecipazione alle gare d'appalto, l'assicurazione sul rischio di mancato pagamento. Quella per l'internazionalizzazione è una via in salita e prevede (in linea generale) sette gradini. Ciascuno dei quali può nascondere un'insidia. Una piccola risposta al credit crunch, per esempio, arriva da Sace, che collabora con gli intermediari creditizi attraverso il rilascio di garanzie su finanziamenti destinati a sostenere progetti di internazionalizzazione. Con la garanzia di Sace sono finanziabili acquisizioni, fusioni, aumenti di capitale in società estere, insediamenti produttivi, investimenti in ricerca e sviluppo,forniture destinate all'export oall'esecuzionedilavori all'estero. Dallo scorso settembre, inoltre, è operativo il Fondo Sviluppo Export, nato su iniziativa di Sace egestito da Amundi Sgr, dedicato alle Pmi esportatrici italiane: attraverso l'emissione di titoli obbligazionari, garantiti da Sace e sottoscritti dal Fondo, l'azienda ottiene le risorse finanziaria per investire nei proprio progetti di crescita all'estero. Una volta trovato il capitale, occorre scegliere il mercato estero più adatto. Per questa fase Sace otre un servizio di advisory che offre consulenze e analisi anche alle Pmi e che si avvale di un team di economisti dedicati allo studio di 189 Paesi e specializzati nell'analisi dei trend dell'industria italiana. A seconda del settore merceologico, poi, il terzo step spesso è quello d ella p arteci pazione a una gara d'appalto. La competitività di un'offerta oggi è sempre più leINSrABILITÀPOUTICA Possibile limitare le perdite oilmancatorimpatrio di dividendi, rimborsi e profitti in caso diguerre,disordini, espropri o restrizioni va Iuta rie gata al pacchetto di cauzioni e garanzie che l'accompagnano. Sa-ce Bt (gruppo Sace), per esempio, affianca le aziende attraverso l'emissione diretta (talora in collaborazione con il sistema bancario o assicurativo), di garanzie contrattuali e fideiussioni per obblighi di legge. Per chi esporta servizi e prodotti finiti, invece, il terzo passaggio consiste nell'assicurarsi che contro il rischio di mancato pagamento. Con la polizza Credito fornitore Sace permette agli esportatori italiani di arricchire il pacchetto offerto ai clienti esteri con dilazioni commerciali più lunghe (anche a medio/lungo termine), così annullando il rischio di mancato pagamento. Con «Credito acquirente», inoltre, Sace garantisce i prestiti erogati a controparti estere per l'acquisto di beni o servizi di imprese italiane coprendo il rischio che il debitore estero non rimborsi il finanziamento concesso dalla banca nei termini convenuti. Una volta acquisita una commessaall'estero, invece, è necessario trovare fonti di finanziamento per approntare la fornitura. Anche in questo caso Sacegarantisce i finanziamenti di capitale circolante consentendo all'impresa di lasciare inalterate, per la parte garantita, le linee di fido complessivamente disponibili presso gli istituti di credito. Negli anni Sace ha ampliato il proprio approccio attraverso garanzie a copertura di lettere di credito per l'importazione di materie prime e semilavorati; inoltre, è stata sviluppata una specifica garanzia su operazioni di leasing per l'acquisizione di servizi e prodotti (per esempio, macchinari) funzionali alle strategie di sviluppo internazionale di aziende italiane. Il factoring, invece, è uno degli strumenti più efficaci per ottenere risorse alternative ai fmanziamenti bancarii,trasformando i crediti in liquidità. I servizi di smobilizzo dei crediti di Sace Fct comprendono sia prodotti di factoring tradizionale, sia nella forma Pro solvendo e Pro soluto. Le aziende esportatrici possono inoltre ricorrere al nuovo prodotto Trade Finance, che unisce i vantaggi della protezione del credito a quelli tipici del factoring, permettendo agli assicurati di Sace e Sace Bt di incassare subito i crediti concessi alle controparti estere. In un mondo, infine, dove si sta intensificando il rischio politico, Sace sostiene lo sviluppo internazionale del Sistema Italia proteggendo anche gli investimenti diretti in Paesi ad alto potenziale ma dalle condizioni politiche complesse. La Polizza investimenti, ad esempio, consente alle imprese e alle banche italiane che investono all'estero di concentrarsi sui rischi di impresa e sullo sviluppo del business, assicurandole dai rischi di natura politica. Con la Polizza investimenti è possibile limitare o compensare le perdite o il mancato rimpatrio di somme relative all'investimento (per esempio, dividendi, profitti, rimborsi dishareholder'sloan) a seguito di guerre e disordini civili, restrizioni valutarie, esproprio diretto e indiretto, revoca dei contratti stipulati con controparti pubbliche locali. S.L. *** Alimentare. Lo speciale addensante di Lbg Sicilia Impianti. Tra i clienti Geico i grandi gruppi dell'auto Hi-tech e flessibilità La scommessa vinta rendono competitivi dell'innovazione Giovanna Mancini RAGUSA mi La vocazione all'export è stata chiarasindalprimomomento.Del resto l'E-4io,1'additivo alimentare prodotto e commercializzato dalla Lbg Sicilia, nata nel aooi a Ragusa proprio per sviluppare questa farina di seme di carruba ideale comeaddensante per una vasta gamma di alimenti, è destinato soprattutto alle grandi multinazionali dell'industria aliment are. «L'Italia è un mercato importante - spiega l'amministratore delegato Giancarlo Licitra - ma il mondo è grande, quindi l'incidenza del mercato domestico sul fatturato dell'azienda è limitato». Un fatturato di quasi 3o milioni, reali77ato per il 95% all'estero, in 8o Paesi, soprattutto laddove l'industria della trasformazione alimentare è più sviluppata, quindi Stati Uniti, Germania ed Europa in generale, Giappone e, sempre di più, anche la Cina «La produzione è italiana al 100%, quasi tutta sul territorio ragusano - precisa Licitra- dove abbiamo anche il nostro principale centro logistico, da cui serviamo in un paio di giorni tutto il mercato europeo». Per i mercati più "difficili" o lontani la Lbg si appoggia a distrib utori locali che fanno anche attività di magazzino. Ma, per ora, non è stato necessario sviluppare una presenza diretta all'estero: il modello di business, spiega ancora l'amministratore delegato, si è basato su rapporti diretti con i clienti, presi colossi del settore come il gruppo Nestlè. In qualche caso, come in Giappone e in Sud America, si è invece rivelato vincente appoggiarsi a una rete di distributori, non solo per questioni logistiche ma anche culturali. «Il primo passo è ottenere tutte le certificazioni necessarie nei diversi Paesi - racconta Licitra - comprese quelle religiose, come kosher ehalaL Per questoabbiamo sempre puntato molto sull'aspetto tecnologico dei nostri prodotti, che garantisce qualità e food security. Tutto questo ci ha reso competitivi all'estero, permettendoci di presentarci al mondo con un prodotto sicuro e innovativo». I mercati più complessi, che presentano regole più stringenti, so- 30 milioni Il giro d'affari L'azienda nata net 2001 realizza all'estero il 95% del proprio fatturato no in genere quelli più evoluti, come Stati Uniti e Giappone. Il resto lo fa la flessibilità di un'azienda snella ed efficiente, che dal 2o01 a oggi non ha mai smesso di crescere, nemmeno negli anni più difiìcili della crisi: «Anche grazie alla possibilità di compensare le perdite di un mercato attraverso la crescita su altri», aggiunge l'amministratore delegato. Ora l'azienda ragusana sta sviluppando nuovi prodotti, tra cui alcune miscele stabilizzanti a marchio Solmix, in produzione da un paio d'anni: «Per sfruttarne tutte le potenzialità- conclude Licitra - stiamo studiando anche processi di internazionalizzazione nuovi, coma una presenza distributiva sui mercati fmali, dato che questi prodotti richiedono anche servizi di assistenza tecnica post-vendita». CINISELLO BALSAMO (MILANO) La storia di Geico è esemplare di come sia possibile diventare un leader mondiale nel settore di riferimento anche partendo dalle di piccole dimensioni di un'azienda familiare, quella fondata a Cinisello Balsamo, alle porte diMilano, daGiuseppeNeri e Giancarlo Mandelli nel 1963. ll segreto è non stare mai fermi: investire sempre in innovazione, rilanciando anche quando la situazione diventa difficile, e cercare in tutto il mondo partner con cui integrare competenze o struttura. Non lo dice, ma è quello che ha fatto negli ultimi vent'anni Ali Reza Arabnia, iraniano d'origine ma lombardo di passaporto e cuore, dopo aver sposato nel 1980 la figlia di uno dei fondatori. «Erano gli anni 90 e tutto stava cambiando nel mondo dell'auto», spiega Arabnia, oggi chairman e ceo dell'azienda che nel 2ou si èfusa (cedendo ll51%delle quote) con la giapponese Taikisha, entrando così in un gruppo multinazionale che fattura circa 1,8 miliardi di euro in 5210-cation del mondo. Prima l'accordo con Fiat, poi lo spin offe, nel 2oo5, la riacquisizione della società da parte della famiglia. Una mossa all'inizio guardata con preoccupazione dai clienti di Geico, da sempre i più grandigruppi automobilistici del mondo. «A quel punto ho cominciato a cercare alleanze sui mercati più dinamici - racconta Arabnia - creando partnership con aziende locali e indipendenti, specializzate come noi nella verniciatura, ma per settori differenti e, a differenza di noi, nella manutenzione anziché nella real i, azione di nuovi impianti, inmodoche non ci fosse competizione». L'esperimento ha funzionato bene per alcuni anni, durante i quali l'azienda di Cinisello è cresciuta molto. Ma restava da conquistare ll mercato deigrandi im-piantidiverniciatura,chedifïìcil-mente le grandi case aut omobilistiche volevano affidare a un'azienda all'avanguardia, ma di dimensioni ridotte (6o milioni di fatturato). Inoltre erano gli an- 11 8 miliardi L'alleanza Fatturato 2014 del gruppo italo-giapponese Geico-Taikisha ni della crisi. La scelta era netta: lasciare o raddoppiare. E Geico ha raddoppiato, con investimentiintecnologiachenehannofatto un gioiellino appetibile per il colosso giapponese. Da G l'alleanza siglata nelaon,chevedeleduesocietà perfettamente complementari, con Taikisha più forte sul mercato nippo-coreano e Geico in Europa, America, Africa eMedioOriente. Geicoha inoltre mantenuto il controllo su tutto quantoaccadefuoridaGiappone e Corea E mentre il fatturato del gruppo viaggia verso 1,9 miliardi di fatturato, con commesse enormi nei cinque continenti, l'headquarter di Geico, il management e la ricerca, restano salde a Cinisello Balsamo, in un'azienda modello costata n milioni di investimento. Gi.M. *** Tubi in plastica. Sica vende macchinari in 108 Paesi Vino. Giv punta su manager e struttura propri in Cina A fare la differenza Cantine in crescita è il servizio ai clienti senza intermediari RAVENNA m La qualità e l'innovazione dei prodotti, certo. Ma un'offerta all'avanguardia, da sola, non basta per essere competitivi sui mercati internazionali. Valeria Giacomoni, amministratore delegato di Sica, azienda ravennate specializzata in macchinari per il "fine linea" della produzione di tubi estrusi in plastica, non ha dubbi: «A fare la differenza è il servizio di vendita e di post-vendita garantito ai clienti». E questo che negli anni ha consentito all'azienda, fondata dal padre nel 1962, di mantenere elevati livelli di export (oggi al 95% della produzione) e di riequilibrare, negli anni più duri della crisi, le perdite inevitabili su alcuni mercati. «Dietro ogni prodotto deve esserci una struttura che assicuri ai client i un servizio consistente, continuativo e rapido», precisa Giacomoni. Fino a oggi le vendite all'estero di Sica, che fattura circa 3o milioni l'anno ed esporta in 1o8 Paesi, si sono basata su una rete di agenti o venditori, mentre il servizio è stato sempre garantito da unpersonale tecnico poliglotta, pronto a partire in caso di necessità e assistere i clienti in un paio di giorni. Ma ora lo scenario sta cambiando: entro fme anno Sica aprirà negli Stati Uniti (un mercato dalle grandi potenzialità, fmora non del tutto sfruttate) la prima filiale commerciale estera che, spiega Giacomoni, dovrebbe essere la prima di una serie, in diversi Paesi. Nello stabilimento di Ravenna, dove lavorano 134 dipendenti, si producono macchinari di fine linea destinati alla fascia alta del mercato, in cui Sica, coni suoi 22 brevetti europei e investimenti in ricerca e sviluppo che non si sono fermati nemmeno negli anni di crisi, è tra i leader globali. Ultimo arrivato, un macchinario "verde" che elimina gli scarti di materiale e le polveri durante il taglio di tubi, riducendo perciò i costi di pulizia e smaltimento dei clienti. Prodotto e servizio, dunque, alla base del successo oltreconfine. Ma anche l'abilità di difleren95% All'estero Quota di export dell'azienda, che ha un fatturato di circa 30 milioni ziare i metodi e i canali di vendita a seconda dei mercati di riferimento. «In alcuni Paesi vendiamo direttamente i nostri macchinari per il fme linea - spiega Giacomoni -. Ma in altri Paesi i clienti preferiscono avere un interlocutore unico per tutta la linea produttiva. In questi casi, lavoriamo insieme ad aziende italiane, tedesche e austriache specializzate nell'inizio linea, in modo da offrire implant i per la linea completa». La Germania è perciò uno dei partner principali di Sica, che esporta molto anche in Sud America e Australia. E invece destinata a un segmento di mercato più basso la produzione dello stabilimento in India, che fornisce il mercato indiano e i Paesi in via di sviluppo. Gi.M. Micaela Cappellini BARDOLINO (VERONA) m La chiave del successo all'estero di G iv?Non aflìdarsi a importatori terzi, ma avere in ognuno dei principali mercati la propria società di importazione e di distribuzione. GruppoltalianoVini-milledi-pendentiequasi35omilionidifat-turato - racchiude nella sua pancia 15 cantine storiche dell'enologia made in Italy, da Nino Negri in Valtellina fmo alle Tenute Rapi-talà in Sicilia. E già questo le permette di essere uno dei principali esportatori italiani del settore: la qualità e la cura che solo i piccoli sanno dare, insieme alla capacità organizzativa e di movimento che solo i grandi gruppi sanno garantire. A questa potenza di fuoco, si aggiunge la marcia in più della presenza diretta all'estero. «Abbiamo cominciato con gli Stati Uniti, poi si sono aggiunte la Francia, la Germania, la Gran Bretagna,laRepubblicaCecaeda ultima Shanghai», racconta Roberta Corrà, da meno di un anno direttore generale del gruppo veronese. Quello stesso gruppo in cui suo padre tanti anni fa aveva iniziato come cantiniere. Roberta Corrà viene dai colossi della distribuzione organizzata e sa bene quanto il fattore distributivo sia cruciale nel successo sui mercati esteri. Alcune delle societàdiimport createda Givsono solo partecipate, altre sono interamente controllate. Ma il senso dell'operazione non cambia: «credo molto nell'importanza di avere manager residenti e una struttura organizzata all'estero - dice - ci consente di avere una flessibilitàeundinamismochealtrimenti non potremmo raggiungere dall'Italia. Flessibilità, ad esempio,nell'adattareiprezzidei prodotti alle fluttuazione dei tassi di cambio. Dinamismo nell'intuire subito i gusti dei consumatori e le mode del momento». Grazie a questa scelta organizzativa,Givvende all'estero il 75% della produzione e a Sace ricorre soprattutto per le coperture assicurative. I mercati più problematici oggi? «La crisi russa per noi è stata un duro colpo- 350 milioni Il valore È il fatturato del gruppo che racchiude 15 cantine storiche ammette Roberta Corrà - a Mosca lavoravamo molto bene anche senza avere un investimento diretto, ma i dati di settembre ci dicono che le nostre vendite qui sono calate del 30 per cento. Spero che aver scelto di rimanere nel Paese, nel lungo periodo, ci premierà». Di turbolenze la Giv ne sta sentendo anche in Cina, dove a gennaio il gruppo ha aperto una trading company al l00% di proprietà: «A Pechino in questo momento i consumi sono fiacchi , complici le politiche di austerity . Per fortuna qui stiamo vendendo molto bene col canale e-commerce». Nel mirino del gruppo c'è però il settore Horeca (forniture per alberghi e ristoranti): «Un comparto - spiega Corrà - per il quale lanceremo un grande progetto». L'annuncio a Vinitaly 2016. *** 1 I NUMERI DEL 2014 74 miliardi Il portafoglio Nel 2014 Sace ha servito oltre 25mila aziende e ha esteso le attività da 89 a 189 Paesi. In un solo anno il portafoglio di operazioni assicurate è passato da 14 a 74 miliardi di euro. Nell'esercizio che si è appena chiuso, inoltre, Sace ha smobilizzato oltre 9 miliardi di euro di crediti vantati dalle imprese, in prevalenza verso la Pubblica amministrazione 7,5 miliardi Le esportazioni assicurate L'anno scorso la Sace ha sostenuto oltre 700 operazioni, assicurando 7,5 miliardi di euro di esportazioni ( 56% rispetto a12013). L'Unione europea rappresenta il 38,8% dei volumi assicurati, seguita dall'America Latina (32,8%). L'Africa sub-sahariana èstata l'area più dinamica de12014, ma sui volumi totali ha inciso per poco più del 4% 470 milioni L'utile netto A livello consolidato, nel 2014 Sace ha registrato un utile netto di 470,5 milioni di euro, in aumento del 36,3% rispetto ai 345,3 milioni di euro del 2013. I ricavi sono generati per il 91,7% da attività assicurative e per l'8,3%da attività di factoring. Le nuove garanzie deliberate da Sace ammontano a 10,9 miliardi,i125,7%in più rispetto a12013 * LA PAROLA CHIAVE Rischio politico •I rischi politici sono percepiti dalle imprese come il più grandedeterrente a operare nei Paesi emergenti. I profili che contribuiscono alla definizione di questo rischio sono tre: la violenza politica (che secondo gli ultimi indici Sace è aumentata del 17% a livello globale); il rischio di trasferimento valutario (che è sceso di circa 11 punti, poiché riflette da vicino i segnali di ripresa economica globale); infine il rischio di esproprio (che nel mondo in media è aumentato del9%). Trend positivo. Le esportazioni italiane sono cresciute nel 2014 del 2% e del 5% nel primo semestre del 2015

fonte: Sole24Ore

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