Infowine16.3: ricerca vigneto, solforosa, innovazione

La tipicità di un territorio è nella gestione del vigneto

La capacità del vino di rappresentare la tipicità di un territorio richiede una gestione sostenibile della vigna. E quanto emerge da una ricerca congiunta dell'Università di Firenze e della Fondazione Edmund Mach, cui hanno collaborato l'Universitat Pompeu Fabra di Barcellona e llnstitut Pasteur di Montevideo

Ricerca che dimostra come la distintività d'un vino dipenda non soltanto dai lieviti presenti in cantina, ma anche da quelli depositati sugli acini d'uva dagli insetti. Lieviti alla cui conservazione e al cui vigore danno un contributo insostituibile vespe e calabroni. «Proprio l'intestino di quest'insetti», spiega a ItaliaOggi Duccio Cavalieri, docente di microbiologia presso l'università di Firenze, «è il luogo in cui i lieviti s'incrociano E spesso l'incrocio avviene fra cellule di lieviti di specie diverse, quali saccharomyces cervisiae e saccharomyces paradoaus, originando ibridi migliori sia per la resistenza agli stress del processo di fermentazione sia per la produzione d'aromi, rispetto a quella dei rispettivi genitori». Proteggere la biodiversità di vespe e calabroni, in altri termini, equivale a preservare il reservoir naturale ove i lieviti d'un determinato areale vivono e hanno vissuto per milioni d'anni, ben prima di quando l'uomo ha cominciato a produrre vino. Si traduce quindi in un atout per i nostri vitivinicultori. «I territori in cui non s'è mai vinificato e dove oggi si sta progettando d'avviare la viticoltura», sottolinea Cavalieri, «mancano verosimilmente del patrimonio di microrganismi che invece le nostre terre hanno e hanno ereditato da migliaia d'anni di cultura del vino e della vite». Un patrimonio di lieviti italiani, che il docente intende mappare tramite il progetto Montecristo che necessita di finanziamenti per decollare.

Autrice: Luisa Contri

Fonte: ItaliaOggi

 


Solforosa tarata in base al vino

L'ultima frontiera dell'enologia di precisione, frutto di un progetto dí ricerca su 12 vini bianchi L'arricchimento di ossigeno abbatte gli antiossidanti

Tarare la presenza di anidride solforosa in maniera esatta per ciascuna tipologia di vino, per una enologia sempre più di precisione. Senza eccessi e senza rischiare, però, di rovinare il vino stesso. E l'ultima frontiera della ricerca frutto di un lavoro durato due anni e mezzo e che ha visto la collaborazione della Fondazione Edmund Mach di San Michele all'Adige (Tn), della cantina Mezzacorona e di Nomacork, azienda di sistemi di chiusura. «Fino ad oggi era stato accettato, in maniera empirica, di imbottigliare il vino, in particolare quello bianco, in ambienti inerti. L'industria enologica ha investito cifre importante per ammodernare gli impianti di imbottigliamento al fine di evitare l'ingresso di ossigeno», spiega a Italia Oggi Fulvio Mattivi del centro ricerca della Fondazione Mach. Lo studio ha portato, adesso, a un approccio innovativo. «Spesso nei laboratori di ricerca l'approccio tipico è quello di porsi nel caso limite, in eccesso. Noi abbiamo cercato un approccio valido per tutti i casi, che prevede di effettuare un'analisi globale dei composti del vino». Mattivi spiega quello che è emerso. «Abbiamo evidenziato come nel vino si formino ritrovati che non si conoscevano. Che la presenza di ossigeno pub ridurre in maniera significativa la presenza di antiossidanti». Lo studio è stato effettuato su 12 vini bianchi, prodotti da sei differenti varietà di uva. Tutti erano stati imbottigliati dalle Cantine MezzaCorona con arricchimento dell'ossigeno controllato a mezzo di un analizzatore di ossigeno NomaSense. Sono state analizzate un totale di 216 bottiglie di vino ed è stato possibile separare nel campione fino a 8 mila composti e generare oltre 1,7 milioni di dati. «Dai dati emersi è stato notato come diminuisse in maniera significativa anche la solforosa totale per effetto di due reazioni nuove, non note prima. Tra queste una dovuta al glutatione forte antiossidante presente nell'uva e utilizzato per aumentare la protezione del vino. E stato visto che in presenza di ossigeno, la capacità antiossidante di glutatione e solforosa non si sommano ma si annullano. Inoltre sono stati individuati altri composti che si combinano con la solforosa e ne sottraggono le funzione di protezione». Alla fine ciò che è emerso, è la capacità di controllare meglio il processo di conservazione del vino. «Adesso si potrà predire meglio la quantità di solforosa senza rischiare di mettere sul mercato un vino non protetto. Si potrà dosare meglio la solforosa, tenere la stabilità del vino, evitare i mal di testa».

autore: ANDREA SETTEFONTI

fonte: ItaliaOggi


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