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Europa dei vini e commercio globale

Accordi di libero scambio, abbattimento delle barriere tariffarie e Asia, il mercato a più alto potenziale: ecco gli snodi cruciali per il futuro del vino italiano, emersi ad Expo nella tavola rotonda della Uiv “Europa dei vini e commercio globale”

I mercati esteri sembrano premiare più la qualità che la quantità, con il prezzo medio del vino italiano che continua a crescere, anche grazie alle politiche europee di promozione. A WineNews, Domenico Zonin, presidente Uiv

Domenico Zonin, presidente dell’Unione italiana viniPuntare sugli accordi di libero scambio, sull’abbattimento delle barriere tariffarie e sull’Asia, che è il mercato a più alto potenziale. È questo il nodo cruciale su cui si fonda il futuro del vino italiano (ed europeo). Che cresce, ma grazie all’export, che però è troppo sbilanciato su alcuni mercati. Lo ha detto il presidente dell’Unione italiana vini Domenico Zonin ai rappresentanti delle istituzioni nazionali – nell’occasione il Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina – e soprattutto a quelli europei (Jean-Luc Demarty, direttore generale della Dg Trade della Commissione Europea e Jean Marie Barillère, direttore attività “Moët & Chandon Champagne, ma anche presidente del Ceev -Comité européen des entreprises vins) presenti alla tavola rotonda “Europa dei vini e commercio globale”, di scena ieri all’Expo di Milano.
“Il contesto europeo in cui ci muoviamo manifesta una crescita economica debole, quindi l’export deve concentrarsi sempre più verso gli Stati terzi. Ma dazi e burocrazia ci condannano. L’Europa non è ancora abbastanza forte nell’export. È evidente, quindi, che necessiti di una strategia commerciale forte, che focalizzi l’attenzione sugli accordi di libero scambio individuando alcuni Paesi come prioritari nelle trattative”.

L’analisi delle esportazioni del vino italiano parla chiaro: nei primi quindici mercati soltanto cinque sono extra-europei (Usa, Canada, Cina Giappone, Russia e Cina). I primi tre sono Stati Uniti, Germania e Regno Unito che da soli coprono il 58% dell’export in volume ed il 54% in valore, mentre c’è stata una forte crescita in Cina con un +12% in volume e un +20% in valore, pari a 14,5 milioni di euro. A tenere vivo il mercato sono gli sparkling: le esportazioni aumentano del 23% sia in volume che in valore, e i mercati più significativi sono sempre gli Stati Uniti e l’Inghilterra, che costituiscono il 70% del volume totale. Poi c’è il “tasto dolente” della Russia, che rappresenta, per il vino italiano, più di 100 milioni di euro di fatturato annuo, che ne fa il primo cliente “Bric” (davanti a Brasile, India, Cina) grazie, soprattutto, al successo delle bollicine. Su questo fronte il vino italiano, seppur salvato dall’embargo e dalle sanzioni che hanno colpito alcuni prodotti agricoli europei, ha perso comunque il 54% in volume e il 56% in valore sullo scorso anno.
“Il mercato europeo - ha detto Jean Marie Barillère, presidente del Ceev -Comité Européen des Entreprises Vins - è in costante calo. Il futuro passa dall’esportazione”. Per crescere, bisogna puntare fuori dall’Europa. Per l’Unione italiana vini c’è la necessità di aprire nuovi mercati al fine di diversificare il commercio, ancora troppo concentrato in pochi Paesi. Fondamentale è l’espansione in Asia, prima di altre aree: l’America Latina consuma poco vino, l’Africa ha un basso Prodotto interno lordo e l’Australia è un produttore di vino. In Asia, i tassi di crescita economica si accompagnano a quelli di aumento consumo pro-capite di vino (la Cina, con quasi 16 milioni di ettolitri annui rappresenta il quinto consumatore mondiale di vino).
Gli occhi sono puntati sugli undici accordi di libero scambio di interesse per il settore vino che la Commissione europea sta negoziando e che sono lo strumento più rapido per ottenere l’integrazione economica tra le varie aree commerciali e per abbattere le barriere tariffarie e non-tariffarie. Tra questi, il più importante è il cosiddetto Ttip con gli Stati Uniti e poi l’accordo con il Giappone, dove l’Italia esporta già per 1,4 miliardi di euro. “I negoziati non possono concludersi senza un accordo che elimini i dazi doganali, attenui le barriere non-tariffarie (additivi in Giappone) e tuteli le nostre IG”, sostiene l’Unione italiana vini. Per avere un’idea, il risparmio potenziale che si avrebbe con l’eliminazione dei dazi sarebbe di 500/600 milioni di euro con gli Stati Uniti e fino ad 1 miliardo con il Giappone per le grandi aziende.
Altro fronte asiatico sono i Paesi dell’Asean (Singapore, Tailandia, India, Malesia), con i negoziati sono da riprendere, e il Vietnam, dove si spera di chiudere l’accordo entro l’anno 2015. “I negoziati in corso con il Vietnam e il Giappone sono cruciali per il futuro del vino europeo”, sostiene Barillère. “Un’apertura dovrà essere dedicata anche a una nuova politica verso mercati come l’Africa, che dovrebbero rientrare in una logica di strategia unitaria”, ha detto Zonin. Per i Paesi emergenti africani, i due accordi esistenti (Economic Partnership Agreements con gli Stati dell’Africa dell’Est e la Economic Community con i Paesi dell’Africa occidentale) sono stati conclusi senza alcun miglioramento per l’accesso al mercato per i nostri vini e, pertanto, sembrano un’opportunità mancata. Per Zonin, la Commissione europea, dunque, deve rafforzare i legami economici anche con il continente africano dove, soprattutto in alcuni aree (Angola, Kenya, Mozambico Nigeria, Costa Avorio, Camerun) alcune aziende italiane iniziano ad affacciarsi e intravedere opportunità di crescita, seppur con barriere tariffarie estremamente elevate. Per Barillère, è fondamentale riuscire a ottenere regole di concorrenza chiare ed eque, ma anche diffondere la cultura del nostro sistema.
Il Governo italiano dovrebbe fare da sponda. “Nei prossimi mesi dobbiamo lavorare fortemente - ha detto il ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina - sui mercati extraeuropei, anche in reazione agli effetti dell’embargo russo. Con il piano internazionalizzazione messo a punto con ministero dello Sviluppo economico abbiamo l’obiettivo di lavorare su piattaforme logistico distributive che supportino l’ingresso dei nostri prodotti nei mercati. Lavoriamo perché questa misura diventi europea, superando così ogni problema tecnico amministrativo. Serve un cambio di passo anche a livello regionale, perché mai come adesso non sprecare risorse è fondamentale. Già dalla prossima settimana incontrerò gli assessori delle Regioni anche per discutere questi aspetti”.


Autore: Fausta Chiesa

Fonte. Winenews


Embargo Xylella, a rischio anche le barbatelle del Salento

Eppure finora anche la sperimentazione in corso - e che dovrebbe terminare a fine luglio - non ha mostrato nessuna evidenza che l'isolato europeo di Xylella fastidiosa possa attaccare la vite. Il blocco, in due mesi, ha provocato al settore un danno enorme, con una perdita di fatturato export stimato intorno ai 600 mila euro

La Decisione UE riguardante misure per impedire la diffusione della Xylella fastidiosa, il patogeno che sta aggredendo gli ulivi salentini determinando disseccamento rapido delle piante, colpisce duramente anche gli “incolpevoli” vivaisti di Terra d’Otranto, produttori di barbatelle.
Il provvedimento 2015/789UE, applicato in Italia con Decreto del 19 giugno 2015 del Ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina, ha incluso, infatti, nell’allegato 1, “Elenco delle piante notoriamente sensibili agli isolati europei e non europei dell’organismo specificato”, anche la “vitis”, ovvero la vite.
Un’inclusione fin da subito apparsa agli interessati molto grave perché, di fatto, vieta la movimentazione e commercializzazione all’interno dell’Unione Europea delle barbatelle prodotte nel Salento, il maggiore polo di produzione del Sud d’Italia.

Per i vivaisti, peraltro, la Decisione UE sarebbe completamente “immotivata” perché il ceppo di Xylella fastidiosa identificato nella zona (ceppo CoDiRo, appartenente alla sub specie “pauca”, presente in Costa Rica ed Honduras dai quali sembra sia arrivato il patogeno attraverso l’importazione di piante ornamentali infette), non sarebbe in grado di svilupparsi sulla vite.
A conferma di ciò ci sarebbe tutta la relativa letteratura scientifica internazionale e, soprattutto, la sperimentazione in corso da parte del Cnr e dell’Università di Bari i quali, in undici mesi di osservazioni ed analisi post-inoculazione del patogeno su piante di vite Cabernet-Sauvignon, non avrebbero riscontrato sviluppo dell’infezione e alcuna sintomatologia.
Fino al termine di questa sperimentazione, prevista per la fine di luglio, il blocco della movimentazione rimarrà fermo, senza possibilità di alcuna deroga, ad eccezione di quelle previste dalla normativa.

Tutto ciò, in poco meno di due mesi, ha provocato al settore un danno enorme, con una perdita di fatturato export stimato intorno ai 600mila euro. Le vendite all’estero, infatti, si sono pressoché bloccate. Algeria, Marocco, Francia, Albania e Grecia, ispirandosi al principio “della prudenza”, hanno immediatamente vietato l’importazione delle barbatelle salentine. Molti Paesi europei, fra cui quelli notoriamente concorrenti dell’Italia per la produzione di barbatelle (Spagna, Portogallo e Francia), fanno pressioni sulla UE affinché siano applicate le misure previste dalla Decisione e siano intensificati i controlli nelle aree interessate all’infezione da Xylella fastidiosa. Non solo, per quanto riguarda la vite, chiedono che la sperimentazione sia effettuata su più tipologie di barbatelle. Questa preoccupazione generalizzata è determinata dal fatto che, nonostante il Governo italiano abbia provveduto fin dal 2014 a nominare un Commissario delegato per l’emergenza Xylella, i risultati sperati non sono arrivati per i ritardi di applicazione del cosiddetto “Piano Silletti”, contenente le azioni contro la diffusione del patogeno, il quale è stato sospeso prima dal Tar Lazio e poi dal Consiglio di Stato.

“L’intera filiera rischia di scomparire – dice Fernando Miggiano, presidente  del Consorzio vivaisti viticoli pugliesi – con conseguente perdita di posti di lavoro e dispersione del possente bagaglio di conoscenze sino ad oggi faticosamente costruito. Il polo vivaistico di Terra d’Otranto è fra più importanti d’Italia, secondo solo a quello di Pordenone. Per il nostro territorio rappresenta una fondamentale risorsa economica. Abbiamo già subito, non solo la perdita di importanti commesse verso i paesi del Maghreb, ma anche un enorme danno di immagine. Quello che sta avvenendo è una beffa per il settore vivaistico perché, è dimostrato, la vite non è sensibile agli attacchi dell’isolato europeo di Xylella fastidiosa. Secondo me non sarebbe da escludere l’esistenza di un vero e proprio boicottaggio politico-commerciale da parte di alcuni paesi della Ue, che trova terreno fertile a causa della sostanziale mancata applicazione delle misure contro l’aggressione agli ulivi del patogeno. Chiediamo alla
politica e al Commissario per l’emergenza di agire immediatamente ed attivare tutte le misure necessarie, e là dove possibile, intervenire con ogni mezzo per effettuare l’eradicazione del patogeno, anche perché il persistente temporeggiamento rispetto all’applicazione della misure previste, contribuirà senz’altro ad inasprire l’atteggiamento della Commissione Europea. Se ciò non accadrà, cioè se non si interverrà con la necessaria tempestività, e soprattutto se non sarà stralciata la vitis dall’Allegato 1 della Det. UE 789, saremo costretti ad agire legalmente per tutelare gli interessi del comparto”.

Del problema si è interessato, nei giorni scorsi, il Consiglio comunale di Otranto il quale, durante una seduta monotematica, ha deliberato  “di far proprie le preoccupazioni manifestate dagli operatori locali di barbatelle, circa il nefasto impatto che porterebbe al settore vitivivaistico locale” il mantenimento dell’inclusione della vite nell’elenco di cui all’allegato 1 della Decisione 2015/789UE . Per tale ragione l’Assise cittadina ha chiesto al ministro Martina, ai deputati e senatori, agli europarlamentari ed ai consiglieri regionali pugliesi, “di attivarsi con ogni mezzo ed in ogni sede, al fine di impedire il mantenimento della vite nell’Allegato 1 al termine del test di patogenicità”. Il Consiglio ha infine chiesto al Governo “di riconoscere il grave stato di crisi in cui è venuto a trovarsi il settore vitivivaistico locale attivando le procedure per il riconoscimento dei danni subiti dagli operatori”.


Il vigneto Cina s’ingrandisce

Il Paese asiatico può contare oggi su 799mila ettari di terreni, preceduta dalla sola Spagna Cina secondo vigneto al mondo Ma nella produzione la leadership resta alla Francia seguita dall’Italia

La Cina scala la classifica dei vignerons, con il secondo vigneto più esteso al mondo. Il dato arriva dall'Organisation internationale de la vigne et du vin ( Oiv) che ha tenuto nei giorni scorsi a Mainz in Germania il 38° congresso mondiale. Complice la riduzione delle superfici vitate in Europa (con la campagna di estirpazione finanziata da Bruxelles tra il 2009 e il 2011 sono stati “rotta mati” circa 200mila ettari) la Cina può contare oggi su 799mila ettari di vigneti. Un potenziale secondo solo a quello della Spagna (che conta poco più di un milione di ettari) ma superiore a quello dei p ro du tto ri sto ric i Fra nc ia (792mila) e Italia (690mila). Il censimento Oiv tiene conto delle superfici totali, ovvero dei vigneti per la produzione sia di vino che di uva, segmento nel quale va poi distinta l'uva da tavola (per la quale la Cina è il pri- mo produttore mondiale) da quella appassita. Aspetti questi ultimi che spiegano come mai tra i principali vigneti mondiali compaiono paesi come Turchia e Iran, non propriamente grandi consumatori di vino. La posizione di vertice della Cina nel potenziale produttivo non ne fa automaticamente il secondo produttore di vino. In questo caso la classifica 2014 conferma le leadership storiche di Francia (con 46 milioni di ettolitri) Italia (44) e Spagna (38). Come produttore la Cina è ancora distanziata con 11,2 milioni di ettolitri ma il segnale è tutt'altro che da sottovalutare. E mostra, insieme anche ad altri numeri chiave riportati dal direttore generale dell'Oiv, Jean Marie Aurand, come gli equilibri nel mondo del vino stiano rapidamente cambiando. Du e e leme nt i su tu tti: su l fronte dei consumi (in calo a livello mondiale dell'1,2% rispet- to al 2013), gli Usa con oltre 31 milioni di ettolitri si confermano in volume il principale mercato enologico mondiale, seguiti dalla Francia (28) e da Italia e Germania (entrambe con 20 milioni). Ma la Cina si avvicina, infatti nel 2014 ha consumato 16 milioni di ettolitri , più di un altro mercato in ascesa come il Regno Unito (13). L'altro elemento chiave è il boom degli sca mb i comme rciali : «Di ec i anni fa – ha detto Aurand – il 27% del vino consumato al mondo era importato. Adesso questa percentuale è salita al 43 per cento». I nuovi scenari mondiali tratteggiati dall'Oiv sono stati anche al centro dell'assemblea dell'Unione italiana vini che si è tenuta nell'ambito dell'Expo di Milano. Al meeting erano presenti rappresentanti dei viticoltori di Francia, Spagna e Portogallo ed è stata sottolineata l'esigenza per i produttori europei di compiere un cambio di passo nel gioco di squadra. Anche alla luce dell'embargo russo che, pur non includendo il vino, ha però penalizzato ugualmente le etichette made in Italy in flessione di oltre il 50 per cento. «L'esigenza di rafforzarsi sui mercati internaz ionali – ha spiegato il presidente dell'Uiv, Domenico Zonin – va portata avanti in stretta sinergia tra i produttori europei. Innanzitutto negli accordi commerciali bilaterali che sono la strada maestra per migliorare l'accesso ai mercati. Dobbiamo privilegiare gli sbocchi extraeuropei come Giappone e Vietnam». «Bisogna scommettere sui mercati extra Ue – ha aggiunto il ministro per le Politiche agricole, Maurizio Martina – anche in reazione agli effetti dell'embargo russo. Resto convinto che il vino italiano abbia ancora grandi margini di crescita».

Fonte: Sole 24 Ore

Autore: Giorgio dell'Orefice

 

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