Pur a fronte del rallentamento economico e della debolezza delle valute nazionali che hanno colpito i BRIC (Brasile, Russia, India, Cina), i primi 8 mesi del 2015 mettono in luce un incremento nellimport di vino aggregato per i 4 mercati superiore al 12% (in volume) e di quasi il 22% se misurato in euro.
A trainare la crescita è la Cina, in pieno recupero rispetto a quanto accaduto l’anno passato (+ 43%), seguita dall’India (+12%) e dal Brasile (+2%).
La nota dolente riguarda la Russia che invece vede diminuire gli acquisti di vino dall’estero del 12%, una percentuale che, a fronte della svalutazione subita dal rublo, arriva a -27% in termini di controvalore in euro. Dal punto di vista delle tipologie importate, gli sparkling crescono in tutti i paesi (+43% in Cina) tranne che in Russia dove invece accusano un calo nelle quantità del 12%. Stesso discorso per i vini fermi imbottigliati, dove però in questa tendenza negativa si inserisce anche l’India (-9%, sebbene questo mercato pesi per meno dell’1% sul totale import BRIC), mentre per gli sfusi è solamente il Brasile ad accusare una diminuzione nei volumi (-19%), contro una Russia che, a testimonianza della perdita di capacità di acquisto dei propri importatori e consumatori, incrementa gli acquisti di vino in cisterna di oltre il 21% rispetto a quanto fatto nei primi 8 mesi del 2014.
Purtroppo, in questo mercato di Grandi Economie Emergenti, l’Italia non brilla, sia per quanto riguarda il posizionamento acquisito che il trend nell’export più recente. A fronte di un import aggregato di vino pari a 6,5 milioni di ettolitri, il peso di quello italiano in questi primi 8 mesi non è arrivato al 9%. Complice il crollo della Russia, che per noi rappresenta il primo dei 4 mercati di export considerati, i vini italiani fanno peggio della “media” in quasi tutti i paesi.Va meglio solo in India, dove la crescita arriva addirittura al +46%, ma stiamo parlando di appena 4.000 ettolitri di vino esportato, di cui quasi il 60% sfuso.
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Canada e Messico (con il via libera della Wto) minacciano gli Usa: via letichettatura di origine sulla carne venduta in America, o arrivano tariffe ritorsive sui prodotti a stelle e strisce, che metterebbero in crisi anche il settore enoico
In Europa le trattative con gli Usa sul Ttip, il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti, procede a rilento, con nodi come quello della tutela delle denominazioni e dell’accesso ai mercati degli Ogm ancora da sciogliere. Nel frattempo, per gli Stati Uniti i rapporti commerciali si fanno tesi anche con due partner decisamente più vicini, Canada e Messico, che hanno ricevuto il via libera dalla Wto - World Trade Organisation per rivalersi commercialmente sui vicini a stelle e strisce, rei di non aver ancora abrogato l’etichetta d’origine sulle carni importate, come chiesto da mesi.
In realtà, la Camera ha votato a favore dell’abolizione della cosiddetta “Cool” (Country of Origin Label) nel giugno scorso, piegandosi alle richieste di Canada e Messico, che si trovano decisamente svantaggiati con i loro prodotti di macelleria (essenzialmente maiale e vitello) sui mercati Usa, ma è al Senato che tutto si è arenato, con un voto definitivo che ancora non arriva. Così, dalle minacce si arriva ai fatti, con i Governi di Ottawa e Città del Messico pronti a rivalersi sulle esportazioni Usa nei rispettivi Paesi, per una “rappresaglia” tariffaria che potrebbe costare a Washington quasi un miliardo di dollari (780 milioni dal Canada e 228 milioni dal Messico). Tra i prodotti che ne farebbero le spese, anche il vino, che rischierebbe “di venire affossato con accise che ci porterebbero indietro, nei rapporti commerciali con Canada e Messico, di decenni”, come denuncia a “The Drinks Business” (www.thedrinksbusiness.com) Robert Koch, presidente del Wine Institute, che rappresenta il 90% dell’export enoico Usa, e che adesso si augura, “una riposta immediata del Congresso, con il ritiro della Country of Origin Label, altrimenti si rischia che le tariffe ritorsive entrino in vigore già prima di Natale, con danni enormi per il settore”.
fonte: winenews
Se ne è parlato in un recente incontro a San Martino in Tagliamento. La strada principale che il Consorzio sta percorrendo è quella, diplomatica, degli accordi internazionali e bilaterali
La tutela del Prosecco ha l’aspetto di un polipo dai mille tentacoli. O, almeno, è questa l’impressione che abbiamo avuto ascoltando l’interessante relazione tenuta a San Martino al Tagliamento (Pordenone), presso l’azienda vinicola Pitars, dal direttore del Consorzio di tutela, Luca Giavi, in occasione di un incontro su “La tutela del vino italiano: il caso del Prosecco”. L’intelligente azione di tutela nei confronti dell’Ue, messa a segno con l’ampliamento della zona di produzione al Friuli Vg, compreso l’aggancio territoriale con la località di Prosecco (Trieste), evidentemente, non è stata sufficiente a scoraggiare l’enopirateria.
«Essendo il Prosecco il vino di maggior successo al mondo, in questo momento – ha detto il presidente del Consorzio, Stefano Zanette, intervenuto all’incontro -, si capisce che è anche il più imitato. Per questo, io penso che dobbiamo continuare a mettere in campo azioni forti di tutela della Denominazione che rimane il primo obiettivo del nostro impegno, ancor prima della pur importante e necessaria attività di promozione».
Ma per realizzare una tutela efficace, bisogna affrontare mille insidie, ha detto Giavi. E non solo in giro per il mondo, ma pure in Italia e in Europa, dove non si può mai stare tranquilli. Negli anni scorsi, infatti, sono state avviate delle azioni legali contro aziende della Moldavia, di Hong Kong, del Brasile, dell’Australia, degli Usa e dell’Ucraina, ma anche dell’Italia, della Germania, della Spagna, della Francia e del Regno Unito. In questo momento è in corso un’azione legale contro un’azienda dell’Ucraina per concorrenza sleale. Ma la strada principale che il Consorzio sta percorrendo è quella, diplomatica, degli accordi internazionali e bilaterali. Il Prosecco, attualmente, è legalmente tutelato nei Pesi europei e nei 18 sottoscrittori dell’Accordo di Lisbona del 1958 che, nella primavera scorsa, è stato revisionato a Ginevra. Siccome poi esistono legislazioni diverse, da Paese a Paese, il Consorzio ha pure imboccato la via degli accordi bilaterali. Già realizzati quelli con gli Usa, la Moldavia, la Svizzera e, pochi giorni fa, con il Vietnam. Con India, Russia e Cina, sono stati avviati i primi contatti. Più difficile dialogare con Paesi come il Brasile o l’Australia dove, nel rispetto delle normative nazionali, è possibile coltivare l’uva Prosecco (dunque, l’uva ha lo stesso nome del vino).
Tra le collaborazioni nazionali e internazionali intessute dal Consorzio (Europol, Interpol, Agenzia delle Dogane, Corpo Forestale, agenti dell’Aicig), ha concluso Giavi, la più recente è l’adesione a Origin, potente coalizione mondiale dei Consorzi di tutela delle Ig, nata nel 2003, con sede a Ginevra. Origin, a cui aderiscono 400 organizzazioni di produttori e istituzioni provenienti da 40 Paesi, opera a livello locale e internazionale con campagne mirate ai responsabili decisionali, ai media e al grande pubblico, contribuendo a preservare la qualità e la tradizione dei vini provenienti da una determinata zona, favorendo al contempo lo sviluppo del settore produttivo e intensificando l’attività di tutela e controllo.
Fonte: Uiv
Autore: Adriano Del Fabro