Infowine29.1: Ocm, liberalizzazioni, tendenze shop

OCM Promozione: il decreto è nuovo, le critiche «vecchie»

OCM Promozione: il decreto è nuovo, le critiche «vecchie» Sotto accusa finiscono i criteri di priorità per l'accesso ai fondi n nuovo capitolo ma di una storia vecchia.

Nel corso dell'anno si susseguono promesse da parte dei responsabili del Mipaaf che le regole sulla promozione dei vini all'estero saranno cambiate. E poi alle prime bozze del nuovo decreto l'amara, solita verità: nulla cambierà. E cosi nei giorni scorsi dure critiche per l'ennesima attesa (disillusa) sulla promozione sono state mosse dai due principali consorzi di aziende (Istituto grandi marchi e Consorzio Italia de vino) e poi anche dalle Federvini. A breve infatti dovrà essere messo a punto il decreto applicativo del ministero per le Politiche agricole per utilizzare i circa 102 milioni di euro stanziati da Bruxelles per cofinanziare (al 50%) le azioni promozionali. Ma già i due consorzi, che rappresentano da soli una rilevante fetta dell'export italiano, si sono detti completamente insoddisfatti dalle prime bozze di decreto in circolazione. Innanzitutto le aziende hanno sottolineato la tempistica particolarmente stringente con la quale dovrà essere messo a punto il nuovo dm. «La proposta di decreto — si legge in una nota congiunta dei due Consorzi - che il ministero delle Politiche agricole si appresta a presentare a breve sembra orientata a inibire più che a favorire la competitività delle imprese vinicole italiane sui mercati internazionali». Molte critiche sono state rivolte alla tempistica scelta dal Mipaaf visto che la bozza di provvedimento è stata diffusa nel pomeriggio del 21 gennaio e le osservazioni delle parti potevano essere presentate solo fino alle 14 del 22 gennaio. Ma pesanti sono anche le accuse mosse sul merito del provvedimento dalle due compagini, che assieme rappresentano 31 imprese vinicole italiane per un fatturato globale di 1,3 miliardi di euro e il 15% dell'export complessivo italiano di settore. Secondo i due consorzi infatti il testo proposto conterrebbe anomalie a partire dai «criteri di priorità» fissati per la valutazione dei progetti (art. 11). «La nonna infatti — si legge ancora nella nota congiunta - privilegiando progetti destinati a mercati in cui i beneficiari non abbiano mai realizzato azioni di promozione con il contributo comunitario, è in contrasto con un principio strategico elementare: proprio sui mercati a più alta intensità cornpetitiva e in grado di assorbire le quote più interessanti delle nostre produzioni viene in questo modo disincentivata e indebolita la pressione di marketing a livello di sistema Paese, ottenendo il risultato di concedere spazio e vantaggi alle imprese di paesi concorrenti. Analogamente i criteri di priorità della misura Ocm Promozione, dichiarando di privilegiare i soggetti che non abbiano mai beneficiato in precedenza di tali contributi, finiscono per penalizzare i gruppi di imprese che negli anni hanno svolto con successo il ruolo di apripista per tutto il vino italiano, creando opportunità di sviluppo all'estero anche per aziende meno attrezzate». Le misure sono considerate in contrasto con lo sviluppo dell'export Tra i molti punti critici del decreto - aggiungono infatti Igm e Italia-Vino - anche il mancato raccordo con le nonne del nuovo Regolamento europeo sulle misure a sostegno della viticoltura che entrerà in vigore nel maggio prossimo. Sulla stessa lunghezza d'onda la Federvini che - si legge in una nota - «non può che condividere le preoccupazioni espresse dai due consorzi. I criteri di priorità nell'accesso alle risorse previsti dalla bozza di decreto sono in contrasto con le finalità di rafforzamento internazionale dei nostri vini. In più il proposito di penalizzare gli operatori che hanno in precedenza attuato programmi di promozione appare oltre che punitivo. irrazionale».

fonte: Sole24Ore

“Liberalizzazione” vitigni in Ue, Paolo de Castro

“Liberalizzazione” vitigni in Ue, Paolo de Castro: “dopo le parole di Hogan, non emergono rassicurazioni concrete sulla questione, rimaniamo preoccupati”. L’elenco dei vitigni tutelati rimarrebbe, ma la norma, spiega, sarebbe aggirabile

“Aspettiamo che il Commissario Hogan passi dalle parole ai fatti, noi come Italia vogliamo che non cambino le regole Ue sull’utilizzo del nome dei vitigni”. Così a WineNews Paolo De Castro
Continua a tenere banco la questione sulla “liberalizzazione” dell’uso del nome di alcuni vitigni indissolubilmente legati ad alcune espressioni identitarie italiane. Perchè dopo le rassicurazioni sul mantenimento dello “status quo” da parte del Commissario all’Agricoltura, a parole, i fatti, come ha spiegato ieri a WineNews.tv il coordinatore per il Gruppo dei Socialisti e Democratici della Commissione Agricoltura del Parlamento europeo Paolo De Castro, ancora non arrivano.

“Dal documento di lavoro predisposto a seguito del Comitato di gestione della Commissione Europea - spiega De Castro - non emergono rassicurazioni sulla proposta di liberalizzazione dell’uso dei nomi dei vitigni fuori dalle attuali zone di produzione. È doveroso innanzitutto ricordare la preoccupazione e, quindi, la richiesta formulata dal mondo produttivo: mantenere lo status quo ovvero l’attuale livello di tutela delle nostre Dop e Igp, non modificando le regole vigenti che disciplinano l’uso di quei nomi di varietà che comprendono, per l’appunto, una Dop o una Igp. La nostra preoccupazione è nata dopo aver visto nero su bianco, lo scorso anno, le proposte presenti nei primi documenti di lavoro con i quali la Commissione ha avviato la discussione con gli Stati membri per sondare le diverse sensibilità in campo e capire quali fossero i margini di manovra. Nell’ultimo documento, invece, circolato la settimana scorsa - prosegue De Castro -, la Commissione ha formulato una proposta che solo apparentemente mantiene lo status quo, ma che nei fatti non offre alcuna garanzia ai produttori italiani. Da un lato, l’esecutivo Ue dice di mantenere l’allegato con l’elenco dei nomi di vitigno in questione così come lo conosciamo oggi, poi però fissa una condizione d’uso che non ci dà garanzie per il futuro. Per utilizzare i nomi presenti nell’elenco, infatti, sarebbe sufficiente avere un disciplinare di produzione e fare una notifica alla Commissione. Come dire: domani la Romania o la Spagna, Paesi che oggi non possono utilizzare, ad esempio, il nome Lambrusco, con un disciplinare di produzione e una notifica alla Commissione potrebbero produrre il Lambrusco di Madrid, piuttosto che il Lambrusco di Bucarest.
Una prospettiva inammissibile che tutto il mondo istituzionale, senza distinzione alcuna, deve scongiurare. Se poi, a seguito del lavoro già compiuto e dopo l’incontro tra il ministro Martina e il commissario Hogan di lunedì scorso, l’esecutivo ha già predisposto un nuovo documento di lavoro, che va nella direzione da noi auspicata - quindi quella del mantenimento dello status quo - sarebbe un primo segnale che ci fa ben sperare. Ma da quel che ci risulta quel testo ancora non c’è e la guardia va tenuta alta. Le regole fino a oggi in vigore hanno funzionato bene - conclude De Castro - e proprio per questa ragione dobbiamo lavorare coesi affinché vengano mantenute a tutela del reddito dei nostri produttori, senza interpretazioni parziali o volutamente fuorvianti che hanno il solo scopo di screditare i rappresentanti di altre forze politiche, disorientando gli addetti al settore”.

fonte: Uiv

L’Italia è il Paese con il più alto tasso su scala globale di ACQUIRENTI ONLINE

I dati emergono dalla Survey “Connected Commerce” di Nielsen realizzata su un campione di 13.000 individui in 24 nazioni diverse, con l’obiettivo di studiare motivi e modalità di approccio al mondo dell’e-commerce.

L’Italia è il Paese con il più alto tasso su scala globale di acquirenti online che scelgono di comprare prodotti oltreconfine (79% vs dato medio a livello globale pari  a 57%, media Europa 65%). In Europa il nostro Paese si posiziona davanti a Germania (73%), Spagna (63%), Francia (59%), UK (52%).  Come metodo di pagamento, oltre la metà degli italiani si affida a PayPall (55% vs. media globale 43%, media Europa 56%). E’ quanto emerge dalla Global Survey “Connected Commerce” di Nielsen realizzata su un campione di 13.000 individui in 24 Paesi, con l’obiettivo di studiare motivi e modalità di approccio all’e-commerce nel mondo.

“Online e offline – ha dichiarato l’amministratore delegato di Nielsen Italia Giovanni Fantasia – non possono più essere considerati due canali di vendita distinti, né il primo può essere concepito come in competizione con il secondo, piuttosto come un’opportunità di creare maggiore valore in un contesto di “non-zero sum game”. Spesso il consumatore sceglie nello store fisico il prodotto e perfeziona l’acquisto online oppure, al contrario, cerca in Rete ciò che poi acquisterà in negozio. Occorre pensare – ha sottolineato Fantasia – soprattutto da parte dei distributori, in termini di approccio integrato allo shopping indipendentemente dal fatto che l’acquisto venga fatto in una delle due modalità. Oggi ci troviamo di fronte a un consumatore che si sposta dal canale fisico a quello virtuale con estrema facilità. E’ la tradizionale nozione di shopping experience che deve essere ridefinita. Le grandi catene della distribuzione devono passare da una visione di marketing lineare a un modello che genera valore in un contesto media e di canale sempre più frammentato. In altri termini non è più possibile affidarsi solo a messaggi di vendita accattivante, occorre fornire all’acquirente strumenti che possano facilitargli il processo d’acquisto, in termini di canale, metodi di pagamento, possibilità di raffronto dei prezzi sul mercato e disponibilità di applicazioni mobile”.

Fra gli italiani fruitori del web il 12% ha l’obiettivo esclusivo di acquisire informazioni sul prodotto, mentre il restante 88% anche quello di fare acquisti, dato inferiore alla media UE (95%), trainata da Francia (96%), Spagna (96%) e Gran Bretagna (99%).

Tipologie di prodotto acquistate online

Per ciò che riguarda le tipologie di prodotto acquistate online, in Italia si riscontra la seguente classifica: viaggi (49%), libri/musica (48%), moda, vestiti, borse ecc. (43%), IT & Mobile/smartphone, tablet, ecc. (33%), biglietti concerti/eventi sportivi (32%), elettronica di consumo (32%), prodotti per la cura della persona/cosmetici, dentifrici, ecc. (25%), videogame (18%), cibo per animali (14%), arredamento (12%), prodotti per la casa (10%), alcolici (9%), medicinali (8%), alimentari in confezione (8%), cibo da asporto (6%), prodotti per l’infanzia (6%), cibi freschi (2%). Quest’ultimo dato è largamente inferiore a quello della media europea (14%).

D’altra parte sono diverse le attività che gli italiani svolgono online a prescindere dalla categoria merceologica che intendono acquistare: il 47% ricerca informazioni relative al prodotto, il 41% controlla e confronta i prezzi, il 33% intende individuare sconti, promozioni e coupon. Sul versante dell’advertising online si registra che il 6% degli italiani dice di aver cliccato su una pubblicità online, il 5% afferma di averne aperta una ricevuta via email, il 4% di avere lasciato like, commenti o tweet sulla pagina di un prodotto o store.

Ampliando lo sguardo a livello globale, la serie dei prodotti maggiormente acquistati online è così declinabile: moda (55%), libri/musica (50%), viaggi (49%), biglietti per eventi (43%), IT & Mobile (40%), elettronica di consumo (37%), bellezza e cura della persona (35%), videogame (30%), cibo da asporto (21%), medicinali (19%), prodotti per la casa (18%), alimentari in confezione (17%), prodotti per l’infanzia (14%), pet food (13%), alcolici (11%), cibi freschi (11%).

Metodi di pagamento

Dal momento che il contesto competitivo è in fase di trasformazione, questo si ripercuote anche sulle modalità di pagamento. A livello globale, il 53% degli intervistati ha dichiarato di usare la carta di credito ma, nello stesso tempo, ben il 43% ha usato sistemi digitali come PayPal, il 39% le carte prepagate o il bancomat, il 38% il bonifico, il 36% il contrassegno.

Per quanto riguarda l’Italia, oltre a PayPal – prima modalità con il 55% – i principali strumenti di pagamento sono: carta prepagata (51%), dato controcorrente rispetto a quello degli altri Paesi europei, come Francia al 5%, Gran Bretagna all’8%, e Spagna al 13%, carta di credito (42%), gift card rilasciata dal singolo negozio (27%) e contrassegno (25%).

Fonte: Nielsen