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Un network con Bottura in difesa del made in Italy di qualità

Lo chef Massimo Bottura alla guida di Chef-to-chef, associazione a difesa del made in Italr Cuochi, è ora di fare network In gioco tradizioni e tipicità del cibo. Comparto da 252 mid

Troppi ristoranti in giro per il mondo con l'insegna italiana che non hanno nulla a che vedere con la cucina del Belpaese e troppi ristoranti in Italia cedono al mordi-e-fuggi, lasciando insoddisfatti i turisti stranieri. «La gastronomia», dice lo chef Massimo Bottura, tre stelle Michelin, «è insieme all'arte la maggiore attrattiva del nostro Paese. Se la lasciamo degradare perdiamo un patrimonio immenso, è come quando sono state cementificate certe spiagge, dopo nessuno le ha più frequentate». Per questo Bottura s'è messo alla testa dei colleghi dell'alimentazione top e, per il dopo Expo, ha costituito Chef-to-chef, associazione che si propone di difendere il made in Italy tra i fornelli, ovvero ingredienti del territorio, cucinati come si deve, secondo la tradizione, con una varietà di prezzo che possa soddisfare tutte le fasce dei consumatori. «Da un lato dobbiamo evitare lo spreco alimentare», aggiunge, «perfino il pane vecchio e la crosta del parmigiano possono essere utilizzati in cucina con risultati sorprendenti. Dall'altro lato dobbiamo salvaguardare la tipicità delle nostre materie prime, che senso ha usare patate del Perù quando le nostre sono migliori?». Così Chef-to-chef ha aggregato una sessantina di chef e una cinquantina tra viticoltori, consorzi tipici e produttori agricoli: insieme per valorizzare e difendere il made in Italy alimentare con la promozione delle città della gastronomia, la formazione professionale, la partecipazione a eventi anche internazionali, la sperimentazione di tecniche di preparazione innovative ma rispettose delle materie prime. Secondo Coldiretti i ristoranti, in Italia, fatturano 24 miliardi di euro l'anno mentre il giro d'affari di tutto il comparto alimentare e vitivinicolo è 252 miliardi di euro, di cui 33 dall'export. Le specialità a denominazione riconosciuta sono 264, quelle di qualità ma senza denominazione sono 4.813. «Un record mondiale, ma si potrebbe fare molto di più», dice Christine Mauracher, italiana d'adozione, professoressa di economia e marketing agroalimentare all'università Ca' Foscari di Venezia e dal 2013 direttrice del master in Cultura del cibo e del vino. «Siamo bravissimi a produrre ma assai meno bravi a vendere e a comunicare. Occorre un cambio di marcia. La leva culturale fatta di storia, tradizioni, territori, è indispensabile per avviare politiche di marketing. Noi insegniamo a utilizzarla concentrandoci sulle filiere del vino, del lattiero-caseario, dell'olio, del cerealicolo, della carne e dell'ortofrutta». Insomma, tutti insieme per fare della cucina e dell'agro-alimentare il petrolio italiano. In questa direzione vanno anche le nuove proposte del viticoltori. Dalla vinificazione nei tradizionali kvevri (anfore) georgiani, secondo il metodo utilizzato al tempo dei romani, all'uso del vino nei cocktail come aperitivo. Dice il vignaiolo Francesco Bordini: «Sempre più ci si misura con le lunghe macerazioni sulle bucce e le fermentazioni spontanee in anfore georgiane di terracotta, che consentono di proporre un vino che si distingue dagli altri». Quanto ai cocktail, qualche esempio: il pignoletto è miscelato con sambuco, seltz e menta, mentre l'albana è shakerato con vodka, mara-cuja, limone e zucchero. La sperimentazione di queste novità vinicole porta la firma dell'Enoteca dell'Emilia-Romagna, una delle pochissime pubbliche (è di proprietà della Regione), sede nella rocca sforzesca di Dozza, oltre mille etichette esposte, ma soprattutto 200 produttori associati e lo sforzo di arrivare uniti sui mercati stranieri superando il proverbiale individualismo italico. Secondo l'Unione italiana vini la spesa in comunicazione delle cantine italiane è assai esigua, il 5,8% del fatturato. Le voci principali sono l'organizzazione di eventi (15%), la pubblicità tabellare (14%), le fiere (13%), la promozione nel punto vendita (12%), le pubbliche relazioni (12%) e così via. Aggiunge un rapporto di Vinitaly: «Il mondo del vino non ha finora *** parlato correttamente con i consumatori ricorrendo generalmente a un linguaggio elitario, tecnico e autoreferenziale, e ciò anche nell'etichettatura, spesso poco immediata, astratta e di difficile comprensione; inoltre non ha per nulla coinvolto gli utenti nell'individuazio-ne dei nuovi gusti e quindi dei nuovi vini dando troppo ascolto a enologi e critici. I produttori hanno cercato cioè di educare i clienti piuttosto che ascoltarli e instaurare con essi un dialogo e un rapporto bidirezionale basato su necessari feedback». Insomma, l'agroalimentare italiano ha la lode sulla qualità ma è (quasi) bocciato sul marketing. Chef-to-chef e l'Enoteca regionale di Dozza provano a fare un passo avanti e gli esperti, incuriositi, aspettano l'effetto trascinamento delle tre stelle dello chef-star Bottura.

 

Autore: CARLO VALENTINI

Fonte: ItaliaOggi


Giro di vite per la tutela della Grappa Ig

Introdotte norme rigide su imbottigliamento e invecchiamento Gim di vite sulla tutela della Grappa italiana.

DECRETO MIPAAF E' quanto introdotto da decreto Mipaaf n. 747 del 28 gennaio 2016 (e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 31 dell'8 febbraio 2016) che introduce nuove tegole sull'imbottigliamento e sull'invecchiamento della Grappa Ig, riservata all'Italia. Le nuove regole più che prese-srivere l'obbligo dell'imbottigliamento in zona chiariscono che che dall'I agosto 2016 la Grappa potrà anche essere imbottigliata fuori zona (ovvero fuori dall'Italia) ma solo se spedita all'estero come prodotto finito. Il che significa un limite preciso alla possibilità di acquistare grandi volumi di grappa allo stato sfuso che poi veniva spesso rielaboravata all'estero con aggiunta di zucchero, acqua o aromi naturali, arrivando cosi a un prodotto finale molto diverso da quello originario. L'altro importante tassello del decreto Mipaaf è la nuova disciplina per l'uso dell'espressione "Grappa barri-que o barriccata". D'ora in avanti infatti tale indicazione potrà essere riportata sulle etichette solo nel caso in cui la Grappa sia invecchiata in botti o tini di legno per un minimo di 12 mesi, almeno la metà dei quali trascorsi nelle botti di piccola dimensione note come barriques. Allo stesso modo potra essere designata come "riserva" la Grappa invecchiata per almeno 18 mesi. «Per noi — ha detto il presidente del Comitato Nazionale Acquaviti di Assodistil, Cesare Mazzetti — si tratta di una grande vittoria. Il percorso è stato molto lungo e complesso, ma ora possiamo finalmente contare su uno strumento normativo che tutela l'autenticità della Grappa. contro possibili fenomeni di contraffazione». • G.D.O


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