Durante il Congresso Nazionale Fisar 2025, ospitato alla Biblioteca della Camera dei Deputati, le voci più autorevoli del settore – da Riccardo Cotarella a Michele Zanardo e Roberto Donadini – hanno ribadito che l’Italia resta il Paese con la maggiore produzione mondiale e la più ampia biodiversità vitivinicola, ma che serve una comunicazione più unitaria e strategica per rafforzare il posizionamento internazionale. I nuovi dazi statunitensi e un temporaneo rallentamento dell’export – dovuto anche all’“effetto scorta” degli importatori americani – non configurano un rischio strutturale, bensì una fase di riequilibrio del mercato.
Il valore del sistema vino resta robusto: secondo i dati Ismea, il mercato europeo rappresenta oggi circa il 40% dell’export complessivo, mentre l’Osservatorio Food Industry Monitor conferma per il 2024 un miglioramento dei ricavi (+2,5%) e della redditività (ROS 5,9%, ROIC 5,3%), con una solidità finanziaria diffusa e un indebitamento medio contenuto (1,04). Il comparto si avvia verso una trasformazione strutturale: la distribuzione e la gestione dei mercati pesano ormai più della sola produzione agricola.
Nello stesso periodo, la guida “I Migliori 100 Vini e Vignaioli d’Italia” 2026, firmata da Luciano Ferraro e James Suckling, ha messo in luce il passaggio generazionale in atto: giovani produttori come Chiara Pepe e Orlando Rocca affiancano i maestri storici, incarnando una “meglio gioventù” del vino italiano che unisce radici, innovazione e sostenibilità. In vetta alle classifiche qualitative figurano il Barbaresco Asili Riserva 2021 di Bruno Giacosa, il Brunello di Montalcino Madonna del Piano Riserva 2019 di Valdicava e il Barolo Monvigliero 2021 di G.B. Burlotto, tutti premiati con 100/100.
Sul fronte internazionale, cresce l’attenzione verso il fenomeno del re-export, che muove ogni anno 14 milioni di ettolitri di vino e oltre 4,5 miliardi di euro. Hub come Singapore, Hong Kong, Paesi Bassi e Regno Unito si confermano snodi strategici del commercio globale. Come sottolinea Laura Mayr (UIV), il re-export rappresenta una leva di efficienza ma anche una sfida di trasparenza e valore per il vino italiano.
In ambito nazionale, manifestazioni come GiovinBacco – Sangiovese in festa a Ravenna confermano la vitalità del tessuto produttivo locale. Piccoli produttori, poco esposti all’export, segnalano vendite stabili e una domanda interna sostenuta da qualità e territorialità. Tuttavia, il calo dei consumi nei ristoranti e la concorrenza crescente di bevande a basso tenore alcolico o “alternativi” (come i cocktail ready-to-drink e le bevande a base di cannabis) evidenziano la necessità di ripensare la comunicazione e la relazione con i consumatori più giovani.
Sul piano economico, l’Italia si distingue per una dinamica dei prezzi tra le più moderate d’Europa: +7,4% in dieci anni, secondo l’American Association of Wine Economists, contro aumenti record come il +92% della Croazia o il +1.581% della Turchia. Un segnale di equilibrio che testimonia un settore competitivo e capace di contenere gli effetti inflazionistici.
In sintesi, il Vigneto Italia entra in una nuova stagione fatta di consolidamento, innovazione e responsabilità collettiva. Il futuro passa da una filiera più coesa, da un racconto condiviso e da una maggiore capacità di trasformare il vino da prodotto agricolo a simbolo culturale e industriale del Paese. Come ricorda Riccardo Cotarella: “Il vino italiano ha saputo rinascere molte volte. Saprà farlo ancora, se sapremo raccontarlo insieme”.